Giovedì 18 maggio, la festa per celebrare San Leonardo Murialdo ci ha regalato un incontro importante con Francesco Piobbichi, impegnato da anni in programmi per salvare i migranti in mare.

Attualmente è inserito a Rosarno in un progetto per dare casa ai migranti che lavorano super sfruttati alla raccolta di quei pomodori che poi arrivano sulle nostre tavole, strappandoli ai ghetti e alle tendopoli nei quali sono costretti a vivere nella nostra Italia del 2023! Le sue parole hanno dato vita ai disegni che lui stesso ha realizzato negli anni per conservare la memoria di tante storie di persone salvate o, più spesso, morte in mare. Ha parlato del peso dei migranti che lui ha sentito sulle sue braccia: il peso di una bimba di sei mesi raccolta morta, quello delle madri raccolte morte, degli uomini chiusi nei sacchi neri. Il peso dei loro corpi morti si contrappone al peso dell’immigrazione, intesa come problema per la nostra società. Anche io ho sentito il peso di quei corpi sulle mie braccia, ma soprattutto sul mio cuore e sulla mia anima perché in questa vicenda, che ormai si protrae dagli anni 90 e della quale non si intravede la fine, siamo tutti coinvolti. Testimonia Francesco Piobbichi: “Sì perché la nostra Italia è anche quella che con i soldi delle nostre tasse paga i lager libici dove vengono rinchiusi i migranti perché non partano, in realtà vengono torturati fino a quando non pagano un riscatto e allora vengono lasciati liberi di imbarcarsi per andare a morire in mare”. Un mare “spinato”, come filo spinato lo definisce Francesco, un mare che è la prosecuzione dei lager, il luogo di un nuovo genocidio. Un mare spinato perché quell’abisso dal 1990 non solo ha inghiottito trentamila persone, ma anche la nostra umanità: che uomini siamo se restiamo indifferenti? Che uomini siamo se salvare i naufraghi in mare diventa un reato? Mare spinato perché divide una volta di più i ricchi dai poveri: se sei ricco hai i documenti e puoi muoverti in aereo e per vie sicure, se sei povero no. Ti ritrovi rinchiuso in un lager come quelli libici o ti restano solo la disperazione e il tentativo di un viaggio irregolare in condizioni terribili che spesso ha una fine ancora più tremenda. La disperazione è tale che tanti, tanti, tanti sono i minori imbarcati soli, i bambini imbarcati soli….e morti soli. Ma questo mare spinato si riflette in una terra a sua volta spinata, dove le differenze tra ricchi e poveri sono sempre più stridenti e dove è evidente che anche l’Italia, l’Europa, l’Occidente sono tutt’altro che i luoghi del diritto per tutti. La tragedia dei migranti mette a nudo questa amara verità con tutto il suo peso, soprattutto per le generazioni future. Il cimitero di Lampedusa, con le tombe ornate dalle riproduzioni su ceramica dei disegni di Francesco, rimane un baluardo di resistenza perché, dando un nome ai migranti morti in mare, ridà loro la dignità di esseri umani non più identificati solo da un numero e ricordando le loro storie, cerca di costruire una memoria di questa tragedia della quale ci verrà chiesto conto. Voglio ricordare gli ultimi versi di un ragazzo morto a diciotto anni perché raccolto dopo il tale viaggio in mare, denutrito al punto da non poter essere salvato: “la fede e gli oppressi ci salveranno”. Sì, forse solo gli oppressi possono ancora salvare la nostra capacità di essere umani: siamo tutti sulla stessa barca. Ma noi da che parte stiamo?